RECENSIONE/TEATRO MENOTTI (tmen1)

15.10.2022

Recensione di JACKiE di Elfriede Jelinek visto al Teatro Menotti Perego il 13 ottobre, a cura di Adelio Rigamonti

JACKIE, UN MITO COLLETTIVO ESALTATO DA ROMINA MONDELLO 

Ritorna sulle assi del Menotti Jackie di Elfriede Jelinek, la poliedrica e "politicamente scomoda" scrittrice austriaca premio Nobel per la letteratura nel 2004. Lo spettacolo, nella traduzione di Luigi Reitani e Werner Waas, è costruito da un'accurata regia di Emilio Russo per esplorare un testo aspro a volte difficile da penetrare e per esaltare le straordinarie doti di attrice di Romina Mondello.

Il monologo, suddiviso in dodici capitoli, nella messa in scena di Emilio Russo colloca Jacqueline Kennedy post mortem in un altrove che non è Inferno, Purgatorio o Paradiso ma profondamente dentro l'immaginario collettivo in cui a tutt'oggi Jackie continua a essere vissuta come un'icona del tormentato femminile, senza collocazione temporale precisa.

Nell'effluvio di parole in equilibrio tra il crudo e il lirismo delle memorie non vi è una narrazione cronologica, ma un riversare intenso di emozioni che vengono da lontano e svelano le ambiguità morali del decantato "sogno americano" degli Anni Sessanta e oltre.

Nel complesso testo non esiste un unico filo rosso bensì un intreccio plurale nel quale lo spettatore potrebbe smarrirsi se non fosse trattenuto da un'esperta regia e da una grandissima interpretazione di Romina Mondello. Una regia e un'interpretazione nelle quali occorre lasciarsi andare e trasportare,perché se si vuole capire tutto in una cascata di parole e frasi si rischia di frantumare il drammatico e tragico arazzo che la Jelinek intesse con sapienza usando i fili lucidi della letteratura e della drammaturgia.

Tra i pregi del testo vi è la continua narrazione al presente quasi a testimonianza che Jackie è divenuta mito e come tale resta presente nell'oggi.

La robustezza del mito fa da contraltare a un personaggio svuotato, abbattuto, che per lo più si muove a stento tra lo star seduta su una panca emblema di solitudine e un affollarsi di biancastri manichini, (ottimamente realizzati da Raffaella Montaldo) morti non solo suoi, dai quali nel finale si discosterà con forza, violenza, per recuperare una libertà che in vita è stata soffocata da molteplici ossessioni. La più forte di queste è l'immagine dei sedili posteriori della limousine presidenziale nel momento dell'omicidio di Dallas, un fotogramma mai rimosso dalla mente di chi lo subì ragazzino sessant'anni fa e da quel tragico sparo ha preso l'avvio del mito Jackie: nuova donna, moglie, madre e vedova perfetta, incernierata nel suo elegante completo Chanel macchiato di sangue e materia cerebrale.

Quello sparo diviene il vero "punto di vita" di Jackie così distante da quel "punto vita" di cui il personaggio Jackie parla tanto all'inizio della narrazione scenica: un punto vita fisico a cui lei teneva molto anche per contrastare le "troppe" amanti del marito. Il "troppo" ritorna come tormentata ossessione e qui mi soccorre un breve passo del foglio di sala: "Ossessionata dai suoi 'troppi' abiti, dalla 'troppa' carne di Marilyn, dal 'troppo' sesso di Kennedy".

Un troppo subito sulla propria carne: due figli nati morti o poche settimane dopo, gli aborti tutti dovuti a un'infezione venerea trasmessale da John e scoperta nell'autopsia sul corpo del presidente assassinato.

Un testo complesso ma esaltato da una lingua cruda, ma al contempo con notevoli accenni d'alto lirismo, frutto della traduzione di Luigi Reitani e Werner Waas. Un testo di cui si potrebbe parlare per ore, tanti sono gli spunti e gli stimoli che esso offre, ma che una volta portato in scena ci costringe, fortunatamente, a parlare della resa dello spettacolo.

Ci troviamo dinnanzi a un'operazione registica intelligente nello scandire il testo in dodici frammenti/capitoli per facilitare l'adesione del pubblico a un testo difficile e soprattutto nel rimanere fedele all'impostazione della Jelinek che ci aveva consegnato un monologo per una singola voce. Un grazie va rivolto a Emilio Russo per la gestione di uno dei talenti più preziosi dell'attuale teatro italiano al femminile. Romina Mondello, infatti, ha dato una prova altissima di interpretazione per grazia e forza espressiva sia nel recitativo, sia nei superbi movimenti coreografici; sono rimasto particolarmente colpito di quel dire sofferto e sensuale con le mani. Una grande interpretazione senza dubbio.

Adelio Rigamonti