RECENSIONE TEATRO MENOTTI - FILIPPO PEREGO (tmen 23/3)

24.02.2023

Recensione de IL GIARDINO DEI CILIEGI di A. Cechov, visto il 22/2 , a cura di Adelio Rigamonti

ASPETTI FARSESCHI TRA I CILIEGI DI CECHOV

Il senso della fine di un ordine sociale è il centro motore de Il giardino dei ciliegi, la tragicomica pièce di Cechov.

Lamemoria, in connessione diretta e ben salda con la differenza generazionale dei suoi personaggi, è tema decisamente caro all'autore, tanto che lo riporta in molti suoi lavori.

Dispersi i fiabeschi alberi di Visconti, il gran velo dell'edizione strehleriana e i tappeti di Peter Brook, in questa rilettura in prima nazionale Rosario Lisma, (suoi l'adattamento, la regia e l'interpretazione di Lopachin) lascia solo intuire con l'ausilio dell'efficace e al contempo lineare scenografia di Federico Biancalani la bellezza del meraviglioso giardino intorno alla cui distruzione, per lasciar spazio a villette per futuri villeggianti, si discute inconcludenti e indifferenti alle proposte concrete di Lopachin, un tempo solo contadinello e ora ricco commerciante per il quale conta solo il denaro e la conseguente arrampicata sociale.

Grazie alla mia di certo non tenera età ho potuto vedere grandi riletture della pièce cecoviana, a partire, ero poco più che adolescente, da quella di Visconti, per poi, giovane adulto o uomo maturo, assistere alle grandi opere di Strehler, Brook e dell'ottimo Elio De Capitani. Ora il lavoro di Lisma, quello di adattatore e regista, mi ha intricato positivamente anche se qualche volta è riuscito a confondermi ai limiti quasi del fastidio.

Lisma gestisce in maniera accorta gli aspetti farseschi (forse con qualche indulgenza di troppo) con quelli drammatici presenti nell'opera cecoviana che ha asciugato e ridotto nei tempi e soprattutto nel numero dei personaggi. Nella riduzione del numero degli interpreti, imposta dalla crisi pandemica che ha danneggiato tutti, ma teatri e teatranti in modo particolare, è caduto uno dei personaggi fondamentali dell'intero lavoro: il vecchio e ricurvo servo Firs, l'emblema memoria della villa e del giardino.

Il personaggio, un tempo mirabilmente interpretato da Sergio Tofano e da Renzo Ricci, è stato affidato alla sola voce del grande Roberto Herlitzka. Purtroppo la voce, per, spero, insondabili motivi tecnici, è giunta troppo spesso indebolita, con rumori di fondo e non sempre di facile fruizione da parte del pubblico.

Lisma ci ha offerto uno spettacolo leggero tenendosi ben lontano da imporre a se stesso e agli attori del cast una recitazione verista e riesce spesso a presentare una lettura che Cechov forse avrebbe gradito: infatti l'autore russo aveva pensato l'opera come una commedia, che nelle sue lettere definiva farsa.

La regia di Lisma riesce a indagare con spigliata immediatezza l'incapacità di affrontare realmente il problema della proprietà, spiccata in Ljuba, ma condivisa anche dagli altri membri della famiglia, un'incapacità che porterà alla perdita di tutto, e che può essere letta come una critica a tutti coloro incapaci di comprendere i segnali dei mutamenti sociali nella nuova Russia prerivoluzionaria. Il rifiuto di Ljuba di accettare la verità sul suo passato, sia nella vita sia nell'amore, la rende uno dei personaggi teatrali più strutturati del teatro moderno. Lisma costruisce una Ljuba, donna e bambina al contempo ancorata a un passato aristocratico ormai sperperato come le ricchezze di famiglia. La donna/bambina è interpretata da una brava Milvia Marigliano da applausi. Giovanni Franzoni è parso a volte un po' sopra le righe, quasi per apparigliare il suo Leonid Andreevič Gaiev alla staripante Ljuba. Talentuose sono Eleonora Giovanardi e Dalila Reas (nei ruoli delle due giovani figlie di Ljuba). Tano Mongelli è Trofimov con i suoi discorsi, non sempre evidenziati, sui cambiamenti sociali, che furono visti come una precoce manifestazione delle successive idee bolsceviche.

Infine Rosario Lisma, ottimo a dare vigore al controverso e difficile personaggio di Lopachin, figlio di contadini arricchito e simbolo della nuova borghesia. Suo il gran sotto finale quando sul proscenio dirige con impeto ieratico una funesta sinfonia per motoseghe.

Per concludere un appunto su Rosario Lisma regista a cui rimprovero lo scarso coraggio nell'attualizzare l'opera cecoviana, ammesso che fosse davvero sua intuizione. Un cellulare e un mangiadischi non sono sufficienti e finiscono per disturbare unitamente a musiche recenti e troppo riconoscibili.

Adelio Rigamonti