RECENSIONE/TEATRO MANZONI (tma2)

16.11.2022

Recensione de IL MALATO IMMAGINARIO visto il 10 novembre e recensito da Adelio Rigamonti

UN OTTIMO SOLFRIZZI DÀ VITA A UN ARGANTE FARSESCO

A febbraio 2023 saranno 350 anni dal debutto della comédie -ballet Il malato immaginario, ultima opera di Molière con musiche di Charpentier. Non sono mai riuscito a vedere la pièce come l'aveva allestita il grande commediografo/attore francese. Naturalmente, dati i tempi che corrono (con l'aggiunta degli anni di Covid) anche questa versione messa in scena al Teatro Manzoni da Guglielmo Ferro non sfugge alla norma e rimane una farsa quasi autobiografica dell'autore. Benché si tratti di un lavoro dagli stilemi farseschi, in questo allestimento a volte spinti oltre righe, lo stesso protagonista pronuncia a tratti affermazioni lucide, ragionevoli, intrise di cinismo e di disillusione che sottolineano un'aspra denuncia a un'immutabile società. Questa aspra denuncia si stempera assai in una facile e immediata satira acchiappa risate nell'allestimento di Ferro che fa dei medici che popolano la casa di Argante dei personaggi che spesso travalicano il comico per divenire quasi ripugnanti, spinti come sono solo dalla volontà di lucrare sparando paroloni in un latino maccheronico per intimorire il povero malato.

Primo e secondo atto sono introdotti a sipario chiuso dalle gradevoli musiche di Massimiliano Pace, che vagamente rimandano alla musica degli intermezzi teatrali del XVII secolo. All'apertura del sipario è subito convincente la struttura a torre della scenografa Fabiana Di Marco. Una torre lignea dentro la quale Argante sale e scende, tra scaffali stracolmi di ampolle con disparati medicinali. Simpatica la trovata di far calare dal primo piano della torre un telo quando Argante si ritira per i suoi clisteri e per le conseguenti evacuazioni. Accanto una gran poltrona/trono dove Argante si sente quasi un re circondato dalle adulazioni truffaldine di medici, moglie e notai.

Lo spettacolo è praticamente tutto sulle spalle di un Emilio Solfrizzi che, benché spesso nelle cadenze e nelle movenze ricordi un po' macchiettismi alla Totò, è ben calato nel ruolo del malato immaginario. Nonostante qualche battuta di non immediata comprensione il suo gran mestiere e il suo talento catturano l'attenzione del pubblico.

Sicuramente la sorpresa in positivo dello spettacolo è rappresentato dal naturale talento di Lisa Galantini, che dà vita a una splendida Tonina, la serva di casa Argante. Anch'essa adulatrice, ma decisamente a fin di bene.

Non mi sono parsi del tutto convincenti gli altri attori del cast e soprattutto, per evidente scelta registica, Sergio Basile (sulla scena interpreta i dottori Purgone e Diaforetico) e soprattutto Luca Masaro (Tommaso, figlio di Diaforetico e poi speziale Fiorante) obbligato a tiritere goliardiche, nelle quali, a dire il vero, si impegna con caparbietà.

Una commedia nella quale il vero protagonista è l'inganno: vi è da sottolineare il cammeo in cui Solfrizzi/Argante con il fratello Beraldo (un efficace Rosario Coppolino) discutono sulle opere di Molière stesso.

Interessante e bello il monologo del sotto finale di Solfrizzi con i pupazzi/marionette silenti raffiguranti i personaggi dello spettacolo. Un pezzo, seppur breve, di apprezzabile abilità recitativa dell'attore pugliese.

Adelio Rigamonti