RECENSIONE TEATRO ELFO PUCCINI (tep23/1)

17.01.2023

Recensione di LUSTRINI di Antonio Tarantino visto il 13 gennaio, a cura di Adelio Rigamonti

CAVAGNA E LUSTRINI DUE CLOWN BECKETTIANI ALL'ELFO 

Cavagna e Lustrini, i due protagonisti di Lustrini di Antonio Tarantino in scena nella Sala Bausch dell'Elfo Puccini, ripropongono l'estenuante, straziante e insoddisfatta attesa dei beckettiani Vladimiro ed Estragone nei confronti di Godot. Ognuno del resto, chi più o chi meno, per un periodo breve come un attimo o lungo come una vita intera, ha atteso il suo intangibile Godot pur di tentare di aggrapparsi a qualcosa che lo liberasse dal sudiciume della vita.

Di sudiciume, nell'allestimento di Lustrini di Luca Toracca, ce n'è a iosa e subito deborda dalla concretezza della splendida scenografia di Ferdinando Bruni (una semplice panchina da parco quasi sorretta dal sotto da un intrico scomposto di fogli di giornali) per esaltarsi nella parola di un testo intensissimo che riconduce a certe visionarietà pasoliniane e spesso a certo linguaggio testoriano crudo e di sovente privo di pietà.

Un linguaggio che è sangue e carne in cui due clochard, due gratta (ladruncoli) di mezza tacca alla fine della carriera - la notte all'addiaccio sulle panchine del parco e qualche brodo alla mensa delle suore - si muovono alternando fragilità, disperazione, violenza in attesa di compiere un furto, un quasi furto, ai danni di un esimio medico sua eccellenza professore.

La vera protagonista del lavoro teatrale è la pancia ed è questa, praticamente sempre vuota, che muove ad architettare il furto che potrebbe garantire ricoveri più decenti di una panchina o dei sotterranei, tra lo scorrazzare di topi, negli scantinati della stazione ed è la pancia stessa a esigere pranzi più dignitosi in qualche micragnosa osteria con la stufa accesa.

Cavagna, disperatamente attaccato a un cartone di vino vuoto, insulta e sopraffà un Lustrini palesemente mal in arnese che rimane attaccato alla vita leggendo quel che rimane di pagine di quotidiani abbandonate nel parco. Grazie al testo duro e aspro, che solo nel finale si concede a brevi ma intensissimi momenti di poesia e di umanità, il pubblico riesce quasi a sentire il puzzo emesso da quei corpi imbruttiti dalla vita sempre ai margini, una vita da reietti.

La fame, la miseria fanno dei due clochard una sorta di coppia clownesca nella quale, soprattutto in Cavagna, scompare qualsiasi forma di politically correct. Lustrini è sempre più sottomesso e ormai distrutto nel fisico si sottomette alle volontà dell'amico aguzzino che continua a rinfacciargli il suo passato di lacché di sacerdoti e poi il suo passaggio all'altra chiesa, quella comunista di Carlo Marcio. Rapina ovviamente fallita e finale altamente poetico che rivela significati intimi dell'unione tra i due reietti.

Ivan Raganato è un ottimo perfido/dolce Cavagna, forse a volte costretto a forzare sulla propria indole d'uomo per raggiungere la cattiveria del personaggio. Luca Toracca, ottima la sua regia, ci offre ancora una volta un personaggio perfetto dimostrando di essere, nonostante l'età avanzata, uno dei migliori interpreti del panorama nazionale. Uno spettacolo giustamente ripagato da grandi applausi e da vedere.

Adelio Rigamonti