RECENSIONE TEATRO DELLA COOPERATIVA (tdc23/4)

10.03.2023

Recensione di LINE di Horovitz,  in occasione del debutto al Cooperativa nel 22, a cura di A. Rigamonti

SI LOTTA PER PRIMEGGIARE AL COOPERATIVA 

Line di Israel Horovitz, in scena al Teatro della Cooperativa, è stato scritto cinquant'anni fa, dunque prima del gran mutamento culturale del '68 che ha coinvolto e, in alcuni casi, positivamente sconvolto il mondo, e perciò, nonostante l'abile regia di Renato Sarti e il gran talento di tutto il cast, mostra in pieno tutta la sua età. Scritto prima del Vietnam e dell'imporsi del movimento femminista, è lo specchio di una cultura assolutamente diversa di quella in cui la maggior parte di noi si ritrova a vivere.

Attuale, perché insita nell'uomo, è la competizione senza né freni né regole. Scrive giustamente Sarti nelle note di regia: "i personaggi di Line ambiscono ad essere i primi della fila per il gusto del predominio allo stesso modo noi, occidentali del XXI secolo, figli del capitalismo, siamo spinti ogni giorno a primeggiare, a discapito degli altri."

Benché il testo contenga riferimenti concreti al teatro di Beckett, non ritengo che Line possa definirsi tout court "teatro dell'assurdo". Mi sembra piuttosto un valido esempio del teatro del grottesco riletto con graffiante ironia dalla scorrevole regia di Renato Sarti.

Sin dall'inizio il testo mostra i suoi anni e soprattutto la sua collocazione prima della grande svolta del '68 quando in scena, per giocarsi il primo posto in fila senza alcuno scopo, vi sono quattro uomini e una donna,

Moira; gli uomini hanno varie armi, spuntate, per rivendicare e ottenere il privilegio d'essere il primo della fila, mentre la donna ha solo l'arma del sesso, luogo comune per "giustificare" le cosiddette donne in carriera anche se nel caso di Horovitz la carriera non ha nessuna importanza, perché in Line conta solo essere il primo.

L'ottima Rossana Mola dà necessarie sottolineature, con padronanza di tempi, di timbri e, soprattutto, di coloriture in un breve monologhetto in cui spiega con gran vigore d'essere stata lei a giocarsi dei maschi per ottenere il posto d'eccellenza in fila.

Lo spettacolo va in crescendo e i movimenti si fanno bruschi, violenti, quasi come se tutto divenisse un "corpo a corpo" senza esclusione di colpi nell'estremo caotico finale.

Testo difficile, per gli anni che si porta addietro, da gestire: Sarti si avvale della sua consueta e sperimentata ironia per confezionare uno spettacolo che, ritoccato l'aspetto maschilista, sappia porre considerazioni anche sull'oggi per quanto riguarda la competitività sfrenata sempre d'attualità. Ottimo il cast di attori a iniziare da Mico Pugliares, il primo in scena, a sipario aperto, da solo e il suo incipit canticchiato è quello che più ricorda atmosfere beckettiane: bravo davvero. Talentuosi anche Francesco Meola (Stefano) e Fabio Zulli (Dolan) in un mix di furberia e cattiveria nei limiti che il buon teatro richiede. Valerio Bongiorno è il marito Arnallo di Moira, brillante nel disegnare un personaggio caricaturale, tratto con mestiere dall'infinita sua carriera che lo vide, non solo all'inizio, raffinato e moderno clown. Per ultima ho lasciato Rossana Mola, che da attrice e donna moderna e assolutamente intelligente è riuscita a gestire alla grande un personaggio così lontano dall'attuale cultura dei più. Una Rossana Mola da applausi. Lasciatevi alle spalle pregiudizi di sorta e ricordando sempre che si tratta di un testo vecchio di cinquant'anni andate a vederlo, perché vale la pena soprattutto per il lavoro registico e la grande interpretazione di tutti gli attori.

Adelio Rigamonti