Delitto e castigo
Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij nell'adattamento teatrale di Glauco Mauri - Regia: Andrea Baracco - Visto al Teatro Menotti il 5 dicembre - recensione a cura di Fabia Caporizzi

Una riuscita ed efficace rivisitazione dell'opera di Dostoevskij
A vent'anni dall'adattamento teatrale di Glauco Mauri (scomparso lo scorso anno a 93 anni) la Compagnia Mauri Sturno ripropone una riuscita ed efficace rivisitazione di Delitto e castigo di Dostoevskij come omaggio ai fondatori della compagnia che lo portarono in scena per la prima volta nel 2005 con il Raskolnikov interpretato dal grande Roberto Sturno ( scomparso nel "23) ma anche come passaggio di testimone e ricerca, mettendo sul palco le giovani anime tormentate di oggi anche con i corpi, i costumi e le musiche. Il nuovo allestimento scenico di Andrea Baracco riporta così in tournée uno dei romanzi più profondi e tormentati della letteratura mondiale con una rivisitazione efficace e uno sguardo nuovo, quello della Gen Z, i ragazzi nati e cresciuti nel 2000, spesso tormentati e ripiegati su se stessi (ma fin troppo esposti e dipendenti dallo sguardo altrui nell'iperconnessione digitale) schiacciati tra successo e fallimento come uniche opzioni disponibili in questi tempi vuoti di senso, giovani che spesso si autorecludono indecisi se mettersi in gioco o annichilirsi nel nulla. Ecco che allora il Raskolnikov in tuta rossa e maglietta nera interpretato dal bravissimo Gabriele Graham Gasco diventa uno di loro, insofferente all'ingiustizia, all'assurdità e alla miseria del presente e che si interroga ossessivamente su quale sia il suo valore. Come nel capolavoro di Dostojevskij quello che vediamo sul palco è lo spiantato studente povero che si attorciglia su se stesso e si contorce fino a trovare una via d'uscita a quella domanda insopportabile che lo divora come un verme nel cervello :"Io sono un pidocchio o un Napoleone?" Il cuore della vicenda resta chiaramente quello creato nel capolavoro dell'autore russo: in una San Pietroburgo confusa, soffocante, piena di mercanti e mercati caotici, ribollente di un'umanità dannata, immiserita e schiacciata dalla crisi economica degli anni sessanta dell'Ottocento il giovane si brucia i neuroni fino a far esplodere l'azione che sembra poterlo liberare a un tempo da quella povertà di mezzi e dal dilemma insopportabile. Il ragazzo decide così di uscire da quel tormento con un atto definitivo che gli permetta di ridiventare protagonista, cambiare le cose, esistere incidendo la storia e non subendola. Vuole essere Napoleone e non scarafaggio. Decide di uccidere la vecchia spietata usuraia per impadronirsi dei soldi e lo fa tentando una giustificazione razionale convincendosi che il suo atto sia ammissibile perché compiuto per un bene superiore ma poi si trova a confrontarsi con le conseguenze morali e psicologiche della sua scelta. Si apre una voragine, l'esame di realtà lo mette davanti all'evidenza che si è fatto anch'egli spietato anche se ha compiuto il delitto come atto di presunta libertà (per emanciparsi dalla miseria e dal nulla di significato), quell'atto lo reclude in una prigione interiore e dove l'angoscia invece di spegnersi si amplifica fino al delirio. La catarsi potrà realizzarsi solo con un percorso di sofferenza e purificazione, compiuto soprattutto grazie a Sonja che lo aiuterà a tornare a ricollegarsi al cuore, al sentimento, permettendogli di ridiventare essere intero e non fatto solo di raziocinio. Grazie anche a tutti gli altri personaggi (DUNJA Arianna Pozzi SONJA Aurora Spreafico PORFIlJ Paolo Zuccari RAZUMICHIN Giulio Petushi SVIDRIGAJLOV / LUZIN Woody Neri) lo spettacolo ci fa rivivere senza troppa pesantezza l'eterno dibattito filosofico su temi fondamentali come la giustizia, la morale, la condizione umana mettendo in scena attori giovani che rispettano l'età anagrafica dei personaggi del romanzo di Dostoevskij che aveva già compreso e restituito con immensa profondità e sapiente accuratezza l'immagine della società capitalistica priva di umanità e satura di minaccioso malcontento capace di partorire agghiaccianti astrazioni e teorie e spietate messe poi alcune volte in atto con aberrante fredda logica. Lo stesso Dostoevskij però alla fine presenta la possibile, anche se densa di dolore, via di uscita dall'alienazione e dalla volontà del superuomo: è la redenzione attraverso l'amore e la compassione. La scena è ricca di tensione, i ritmi risvegliano le coscienze portandole ad entrare anche fisicamente tra le luci e le ombre dove i pensieri si accavallano, le coscienze ribollono e si scontrano, si pongono domande che restano appese e soluzioni possibili tra meschinità, vergogna e disperazione . Anche se sembra che nessuno di quei ventenni sappia dove stare, a Pietroburgo nel 1866 come oggi nel 2025 forse sono ancora la politica e la filosofia, se non confinate alla sfera puramente cerebrale alcuni degli strumenti capaci di far partorire orizzonti e parole nuove in un mondo vecchio che opprime e imprigiona e che non corrisponde al loro divenire. Il monito, se ce n'è uno, è che se mente e cuore avanzano separati i disastri sono in agguato. Per uscire da quella esistenza murata e rattrappita senza usare violenza forse serve ricollegarsi alle emozioni e saperle riconoscere per non esserne inconsapevoli schiavi e riconnettersi alla comunità di persone per essere trasformativi senza ferocia.
Fabia Caporizzi
