RECENSIONE/TEATRO SOTTO IL LUCERNARIO

10.06.2023

Recensione de LE TRE SORELLE da Anton Checov, adattamento e coordinamento registico di Ivan Bonasia

APPAGANTI FUGHE DAL CONSUETO

Per sconfinati motivi, vuoi mentali e soprattutto fisici, a volte vien la voglia di disertare sale paludate di grandi teatri per grandi attori e rifugiarsi in altrovi sconosciuti, mi piacerebbe dire collaterali. Questa volta l'ho fatto recandomi nella piccola, ma funzionale sala del Teatro sotto il lucernario dove Ivan Bonasia ha presentato Le tre sorelle di Cechov affidandolo agli allievi del suo corso per adulti.

Ho sempre pensato che mettere in scena opere del monumentale Cechov fosse per chiunque sinonimo di volontà a un sacrificale suicidio. Recentemente ho visto "un grande" come Rosario Lisma impacciarsi Nel giardino dei ciliegi per vistose riduzioni e tagli improponibili di personaggi come il vecchio e ricurvo servo Firs, l'emblema memoria della villa e del giardino.

Qui Ivan Bonasia ha scelto di evitare il suicidio perché in realtà ha evitato Cechov dando de Le tre sorelle una versione fisica, corporea soprattutto grazie a un grande lavoro di gruppo di tutti i sei allievi alcuni dei quali si alternano, indossando una divisa, un grembiale, per dar vita a ben tredici dei quattordici personaggi presenti nel testo originale.

Il sicuramente pesante lavoro di gruppo ha permesso di abbandonare interpretazioni ideologiche e storiche lasciandole in un profondo sottofondo, poco più di un'eco. Certo sia l'estrema fisicità della messa in scena sia la riduzione, a volte esasperata, del testo creano vuoti di narrazione drammaturgica che possono confondere lo spettatore, ma questo spettacolo va visto come nuovo dove Cechov ha fornito una trama e stop in cui il rimasto è essenzialmente una forte carica emotiva e comunicativa fatta di gesti e forse qualche gridato di troppo che intrica e intrattiene.

Nonostante la drastica riduzione, di genuinamente cecoviano, non so quanto o meno coscientemente, rimane quella sorte di natura morta dove muoiono la speranze sopratutto sociali di Olga, Mascia e Irina, una dopo l'altra. Ma proprio da quella sequela di sconfitte, si ritrovano quasi realisticamente a ripetere il loro grido contemporaneamente di dolore e residua aspettativa di cambiamento cercando di sovrastare con la forza della voce le fragorose e ottimiste evocate note delle fanfare militari.

L'intero spettacolo con qualche intoppo drammaturgico e qualche sfasatura recitativa, inevitabile in ogni saggio di fine corso, è sorretto da una scenografia poverissima ma assai efficace: bancali che diventano mobili di immaginarie stanze e che aumentano col loro muoversi e cadere la fisicità, anche nel rumore, di tutto l'allestimento.

Sicuramente faticoso il lavoro di tutti i coraggiosi attori/allievi: Diletta Fedele (Kuligin, Natalia, Anfisa), Samantha Blasi (Olga, Anfisa), Michela Balicco (Masha), Luca Lippolis (Solenj, Varsenin). Oltre a questi anche Michele Rota (Andrej, Tuzenbach) e Angela Cascone (Irina) forse i due più talentuosi del gruppo. 

Bravi tutti e le fughe dal consueto a volte appagano.

Adelio Rigamonti